Intervista a Jake su ZodiacJake Gyllenhaal parla della sua interpretazione nella parte del fumettista del S.Francisco Chronicle, Robert Graysmith nel film Zodiac, della sua preparazione per questo ruolo e della sua collaborazione con il regista David Fincher.
Cosa ti ha attratto del ruolo di Robert Graysmith e di questo film?All’inizio non sapevo nulla della storia. Non conoscevo Zodiac, né Robert Graysmith. Conoscevo invece David Fincher. Lo avevo incontrato in alcune occasioni per altre cose e lui mi mandò la bozza della sceneggiatura. La prima stesura che lessi era molto diversa dalle ultime che David ha ritoccato.
La prima bozza somigliava molto ad un trhiller poliziesco con i suoi tipici personaggi e l’ho trovata piuttosto intrigante. Gli omicidi erano terribili e l’idea che fosse David a dirigere il film già mi attirava parecchio. Passarono un paio di mesi e David cominciò a lavorare alla sceneggiatura, di cui lessi un’altra bozza che aveva steso lui, lunga 200 pagine. Era una specie di opus magna, sempre con questi orribili omicidi e con la stessa tipologia di personaggi coinvolti, e il tutto era reale. Era tutta roba vera accaduta realmente, ed io ho pensato: “E’ davvero stupefacente”.
Sei riuscito ad entrare a pieno nelle varie tappe evolutive dell’indagine sapendo che vi basavate su dei fatti reali?Quando lavori su queste cose come attore credo che hai a che fare non tanto con te stesso e su quanto sei ossessionato dai fatti, ma piuttosto con il motivo per cui Robert trovava il tutto divertente. Ed io penso che lui lo trovasse davvero divertente. Secondo me ciò che alla gente risulta difficile capire è che quest’uomo si divertiva a cercare l’indagato, mentre c’erano invece un poliziotto e un giornalista che avrebbe dovuto cercarlo, perché era il loro lavoro. Lui si divertiva davvero. Era come un ragazzino dentro ad un negozio di caramelle, il che penso crei un’interessante dualità o giustapposizione nella classica storia di detective.
Com’è stato lavorare con un regista come David Fincher, che è rinomato per il suo stile visivo?
Sicuramente il suo stile visivo ha la priorità su tutto. Come si può vedere nel film la sua è una visione straordinaria. Credo che questo film in particolare sia diverso per David, nel senso che ha voluto dare a noi attori qualcosa di più. E ci ha dato uno spazio nostro in cui poter lavorare. Ciò non toglie il fatto che egli sa bene quello che vuole; è molto chiaro su questo punto e attraverso questa sorta di disciplina per molti aspetti è un po’ come lavorare su Shaekspeare. Devi attenerti al pentametro giambico; rientrare nelle regole, ma al loro interno credo anche ci siano delle scoperte eccezionali.
Pensi che il pubblico sia pronto ad un ritorno verso questo tipo di sguardo più profondo sul personaggio e la trama?Non so. Spero che lo sia. Penso che quello che risulta più interessante, come ho già detto, è il fatto che ci sono questa sorta di macabri omicidi che si susseguono e credo anche, almeno secondo me come spettatore, che ciò mantenga alta l’attenzione. L’interesse resta vivo, dopodichè i personaggi e la storia completano tutto il resto.
Com’è stato lavorare con Mark Ruffalo?Bè, abbiamo girato solo un paio di scene insieme. David ha riunito un trio piuttosto bizzarro direi. Mark e Robert (Downey, Jr.) hanno una grande esperienza, sono molto più esperti di me, ed io imparavo da loro ogni giorno. Voglio dire, specialmente con Robert ho lavorato molto di più e con lui è un po’ come lavorare in un’altra dimensione. Sembra la fatina Trilli della favola di Peter Pan. E’ come una specie di giullare di corte che danza tutto il tempo intorno a te ispirandoti costantemente. Prova a immaginare Robert con miriadi di secchi colmi di ispirazione che li porge a tutti quelli con cui lavora, come attore è una cosa straordinaria.
In questo film sei presente in molti dialoghi e in molte scene. E’ stato estenuante per te come attore?
Abbiamo girato un film senza ricostruzioni al computer in sei mesi e mezzo, con un programmazione di 100 giorni, in cui per la maggior parte del tempo ci sono dialoghi ed è la storia sulla caccia ad un serial killer. E’ stato estenuante per ciò che riguarda l’atteggiamento mentale con cui devi porti. E con David in particolare si percepisce nei suoi film un’interessante sensazione di sbalordimento. Penso che questo provenga direttamente da lui. C’è qualcosa del genere in lui ed il suo modo di lavorare lo fa emergere. Le riprese che fa e le modalità che adotta ti spingono in questa specie di stato, e all’interno di tale condizione scopri il cinema di David Fincher.
Penso che tutto ciò sia interessante per le persone coinvolte perché ce ne sono alcune che si dilettano in questo modo, mentre altre ne sono turbate. E abbiamo lavorato così per sei mesi. Il pubblico invece ha modo di vivere tutto ciò per due ore e mezzo, il che secondo me provoca una bella scossa quando si è immersi in quell’atmosfera. Non so se vorrei mai tornare nel mondo di Zodiac ma sicuramente è valsa la pena esserci entrato.
Fonte